Coralli Nr.38

POMACENTRIDI

38

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Pomacentridi

SOMMARIO

  • 2 EDITORIALE
  • 3 LAPOSTA DEI LETTORI
  • 8 MAGAZIN
  • 10 MAC NEWS
  • 11 A COLLOQUIO CON
  • 15 RARITA’
  • 16 LO SPECCHIO DEL WEB
  • 18 REPORTAGE FOTOGRAFICO
  • 28 REPORTAGE
    Pomacentridi – Condanna o benedizione?
    Torsten Luther
  • 34 REPORTAGE
    I pomacentridi della famiglia Pomacentridae
    Frank Schneidewind
  • 42 PRATICA
    Le castagnole verdi
    Proff.ssa Dott.ssa Ellen Thaler
  • 46 PANORAMICA
    Frank Schneidewind
  • 49 IL POSTER
    Astroboa granulatus
    Daniel Knop
  • 54 Viaggio
    Tea Time
    Werner Fiedler
  • 62 REPORTAGE
    Parassita o simbionte
    Questo è l’interrogativo
  • 68 REPORTAGE
    Una storia triste
    Indina Beuche
  • 70 REPORTAGE
    Fotosintesi e formazione del calcio
    Dott. Dieter Brockman
  • 76 RITRATTI D’ACQUARIO
    Lasciar fare alla natura
    Les Holiday
  • 81 OGNI INIZIO E’ FACILE
    Le pagine per l’acquariofilo marino principiante
  • 84 NOVITA’ DAL MERCATO

EDITORIALE

Sono molti gli acquariofili che proprio con i pomacentridi hanno avuto le loro prime esperienze in acquariologia marina. Lo stesso è accaduto anche a me, oltre due decenni fa. La robustezza di questi pesci è straordinaria. Dietro questa dura corazza, in ogni caso, si cela però anche una parte tenera. Mi ricordo in tal senso di un determinato esemplare, una damigella gialla, che più di 18 anni fa dovevo catturare per rimuoverla da una vasca di 200 litri. Il pesce aveva colonizzato una cavità all’interno di una roccia, con due entrate, una sul davanti e una nella parte posteriore. Mentre il piccolo pomacentride blu-giallo stava nuotando nella vasca, otturai l’entrata posteriore della cavità con dell’ovatta filtrante. Feci poi lo stesso anche con l’apertura anteriore, perché pensavo che in questo modo fosse più semplice catturare il pesce in acqua libera, con un retino. Mi trovavo davanti alla vasca quando il pesce, accorgendosi che stava accadendo qualcosa di insolito e non fidandosi, decise che era meglio ritirarsi nel suo nascondiglio. Nuotò dapprima verso l’entrata posteriore, ma la trovò chiusa. Dopo un breve momento, durante il quale il pesce mi parve confuso, si mosse intorno alla grossa roccia verso la sua parte anteriore, per nascondersi all’interno del suo rifugio passando dall’altro ingresso, ma anche questo era sbarrato. Nella stessa frazione di secondo nella quale comprese che il suo nascondiglio era diventato irraggiungibile, esso assunse una colorazione nero pece iniziando a vacillare nell’acqua, quindi rimase immobile e morì. Il pesce era morto per lo schock! Perché il suo rifugio era stato sbarrato! Questa situazione allora mi chiarì senza ombra di dubbio quanto sia importante per un pesce corallino disporre di un nascondiglio, quanto, in determinate circostanze, può essere vulnerabile perfino il più robusto dei pesci e quanto la sua vita sia influenzata dai meccanismi comportamentali, correlati alle relazioni naturali. Nell’acquario non era presente nessun altro pesce, neppure una minaccia che avrebbe potuto giustificare la sua paura. La natura, però, ha modellato il suo comportamento come accade anche a noi umani, quando, ad esempio, da lattanti cerchiamo di ancorarci alla pelliccia ventrale di nostra madre, ormai non più presente da millenni. L’area delle possibilità di esistenza di innumerevoli pomacentridi è più estesa di quella di molti altri animali del reef. Ciò non significa, ad ogni modo, che possiamo scegliere, seppure in buona fede, delle condizioni limite per il loro mantenimento. Certo, anche in natura troviamo situazioni estreme, ad esempio dei coralli in grado di stabilirsi in Nuova Zelanda in acqua salata sotto ad uno spesso e freddo strato di torbida acqua dolce. Se però viene creato un ambiente artificiale, non bisognerebbe mai cercare di portare al limite la tolleranza e la robustezza degli animali, come accade ai minuscoli gamberetti Halocaridina rubra, che talvolta vengono offerti in piccoli acquari sferici sigillati. Sicuramente la realizzazione di un “sistema acquario” con tali presupposti e con cicli biochimici parzialmente chiusi può rivelarsi interessante, in particolare come esperimento, ma riguardo ad un tale mantenimento di questi gamberetti nani, che dipendono totalmente dall’instaurarsi o meno delle condizioni ottimali nella sfera di vetro, come acquariofili marini non possiamo in nessun caso essere d’accordo. Questi piccoli animali hanno in tali condizioni una ridotta aspettativa di vita, nessuna possibilità di riprodursi e prima o poi, dopo mesi o anni, moriranno atrocemente per il collasso di questo minuscolo ecosistema. La curiosità e la sete di sapere non dovrebbero condurre a simili risultati, ma senza eccezione ad un mantenimento degli animali consono alla specie cui essi appartengono e sostenuto anche da un vero interesse per l’osservazione della natura. In questa prospettiva vanno visti anche quegli organismi che dagli acquariofili vengono definiti parassiti e per una volta non saranno rimossi dai loro coralli, ma la loro presenza sarà considerata come una piacevole occasione per osservarne il comportamento, magari in una vasca tematica, per saperne di più sui presunti “parassiti” e sulle relazioni tra di essi e i coralli su cui vivono. Gli effetti delle variazioni in natura sono spesso sensibilmente più complessi di quanto riusciamo ad immaginare. È questa curiosità, e non la voglia di sensazionale o delle buone strategie di marketing, che dovrebbe portarci a mantenere gli animali in acquario.

Buona lettura

Daniel Knop