La tossicità dei nitriti

Già Klinger nel 1957 appurò che i pesci reagiscono in modo molto diverso ad una elevata concentrazione di nitriti. Dei Phoxinus laevis morivano con una concentrazione di 50 mg/l nell’arco di 3,4-22,9 giorni (in dieci cavie). Gli esami patologici degli animali morti evidenziarono una anemia, aumentati depositi di prodotti della scomposizione sanguigna nel fegato, nella milza e nei reni, come pure una cistifellea completamente piena. I sintomi di una intossicazione da nitriti sono una respirazione affannosa (iperventilazione), danni al fegato e alla retina degli occhi, perdita di potassio dalle cellule, aumentata frequenza cardiaca, formazione di nitrosamine e un incremento della sensibilità verso altre sostanze tossiche o infezioni. Comunque per quanto concerne i sintomi che avvertiamo in una intossicazione da nitriti nei pesci non gioca un ruolo soltanto la concentrazione di questa sostanza nell’acqua, ma anche la durata dell’esposizione. Più a lungo il nostro pesce permane in una concentrazione leggermente aumentata di nitriti, maggiori saranno i suoi sintomi, perché una più elevata concentrazione di nitriti può accumularsi nel suo sangue. Dopo circa 24-48 ore viene raggiunto il bilanciamento tra la concentrazione di nitriti nel sangue e quella dell’acqua circostante. Se nell’acqua sono presenti valori elevati di nitriti dall’esterno si diffonde acido nitroso nel sistema circolatorio attraverso le branchie trasportandovi i nitriti. Nel plasma sanguigno i nitriti possono arricchirsi fino a 60, 70 volte la concentrazione presente nell’acqua circostante, negli organi 30 volte. Una volta che i nitriti sono presenti nel plasma sanguigno, penetrano anche nei globuli rossi dove ossidano l’atomo centrale del ferro nell’emoglobina, la sostanza che colora di rosso il sangue. L’emoglobina ossidata riesce a legare meno ossigeno, e attraverso una elevata concentrazione di emoglobina ossidata, definita metamoglobina, il sangue assume una colorazione marrone, fenomeno riconoscibile anche dalle branchie dello stesso colore. Si evince pertanto che un pesce che si trova in un’acqua di acquario con una concentrazione molto elevata di nitriti corre il rischio di subire una crescente carenza di ossigeno all’aumentare dell’attività corporea, perché il suo sangue non è più in grado di legare e trasportare il gas vitale. Se il pesce assume però un atteggiamento passivo con il corpo, perché ad esempio rimane nascosto in un angolo, allora spesso avrà una certa possibilità di sopravvivere, perché la sua necessità di ossigeno si riduce, o meglio perché ne evita un maggiore bisogno.

Se sottoposti a una elevata concentrazione di Nitriti i pesci possono letteralmente "soffocare".

Se sottoposti a una elevata concentrazione di Nitriti i pesci possono letteralmente “soffocare”.

Se però questo pesce sviluppa una improvvisa attività, tale da incrementare drasticamente la sua esigenza di ossigeno (per esempio se cerchiamo di catturarlo con un retino, costringendolo a nuotare rapidamente per il panico), a causa della mancanza del gas può letteralmente soffocare, perché il suo sangue a causa della molta emoglobina ossidata non riesce a trasportare abbastanza ossigeno. I pesci che però sono in buone condizioni corporee, dispongono in tal senso di un trucco biochimico: nel loro fegato hanno immagazzinato una maggiore quantità di una sostanza chiamata glicogeno. Si tratta nello specifico di zucchero (glucosio) in una particolare forma di immagazzinamento. Questo glicogeno in caso di necessità può essere reso nuovamente disponibile, in un processo definito glicogenolisi. Si libera dello zucchero che serve all’animale come energia, aiutandolo a superare meglio una carenza di ossigeno in seguito alla formazione della metaemoglobina. Questo funziona, come si è detto, solo se il pesce è in buone condizioni, cosa che concerne soprattutto l’alimentazione; deve cioè “essere in carne”, e questo dimostra quanto sia importante una buona condizione generale quando si tratta di superare stress o cattive condizioni dell’acqua. I pesci degli habitat freddi (per esempio l’antartico) trasportano una quantità considerevolmente maggiore di ossigeno direttamente nel plasma sanguigno e sono pertanto molto meno esposti al pericolo della metaemoglobina. I pesci antartici, per esempio, non possiedono alcuna emoglobina! Se una parte considerevole della sostanza che colorante emoglobina è ossidata, allora l’organismo del pesce in questione è in grado di ridurre nuovamente questa metaemoglobina liberandola dagli atomi di ossigeno. Questo accade con l’aiuto di un enzima chiamato “metaemoglobina riduttasi”, e se collochiamo l’animale in acqua di acquario priva di nitriti trascorreranno circa 24-72 ore prima che la misura naturale sia stata nuovamente raggiunta. L’organismo deve poter disporre di questo enzima, perché anche in condizioni libere da nitriti avviene una certa ossidazione della sostanza colorante rossa del sangue, che deve essere fatta regredire. Questa “naturale” ossidazione viene favorita da una carenza di ossigeno e da bassi valori di pH, o anche da uno stress generale e dipende naturalmente dalla specie di pesce. Anche l’età del pesce gioca un ruolo: i giovani sono più tolleranti verso i nitriti rispetto agli esemplari più anziani, probabilmente a causa di una aumentata attività di metaemoglobina riduttasi. Una via per la riduzione dei nitriti nel pesce è presente nel fegato: nelle cellule epatiche i nitriti possono essere ossidati in nitrati. Se c’è a disposizione abbastanza ossigeno, è possibile persino una ossidazione dei nitriti all’interno dei corpuscoli sanguigni rossi.

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