Sicuramente è un bel pesce quello che forse già da anni abbiamo introdotto nel nostro acquario di barriera. Era pacifico, e non ha mai infastidito gli invertebrati. Fino a ieri! Quando per la prima volta si è avventato sui nostri coralli duri e sulle conchiglie, e anche oggi sta continuando, nonostante una abbondante somministrazione di cibo e diversi tentativi di dissuasione.
Casi problematici
Questi scenari non costituiscono un caso isolato e purtroppo si sviluppano sempre quando ci si occupa di gruppi di pesci quali quelli chirurgo, pinzetta o angelo pigmei. A tale riguardo diversi esempi riferiti da alcuni acquariofili: da anni un pesce chirurgo delle Filippine (Acanthurus japonicus) nuotava nell’acquario per coralli molli, senza mai infastidirli minimamente. Poi, da un giorno all’altro, aveva cominciato a prendere di mira i polipi dei numerosi coralli molli Capnella imbricata. Li staccava a morsi per poi risputarli. La minaccia per i graziosi coralli molli era tale da far temere per l’intera popolazione ed è stato pertanto necessario rimuovere dall’acquario il chirurgo delle Filippine. Un altro pesce problematico per gli acquari di barriera è il pesce farfalla rostrato (Chelmon rostratus). Viene impiegato da molti acquariofili per il controllo delle piaghe da anemoni di vetro. A parte il fatto che questi pesci appena importati sono da considerare, in generale, tra i più delicati che si possano mantenere in un acquario marino, va ricordato che non tutti gli esemplari si cibano di questi anemoni. In ogni caso, talvolta si ha la fortuna di poter mantenere per molti anni un C. rostratus in una vasca di barriera, nella vasca dell’esempio riferito, tra gli altri, erano presenti anche coralli duri come Trachyphyllia geoffroyi. Per molti anni non si sono verificati problemi, fino a quando improvvisamente il grazioso pesce nell’arco di pochi minuti aveva letteralmente sbrindellato una Trachyphyllia. Per preservare dallo stesso destino gli altri coralli LPS, è stato necessario rimuoverlo dall’acquario. Il terzo esempio riguarda il pesce angelo pigmeo rosso fiamma (Centropyge loriculus). Il riferimento riguarda una coppia di questa specie. L’osservazione del loro corteggiamento, che avveniva tutte le sere, era veramente affascinante. Tuttavia anche in questo caso subentrarono dei problemi: la femmina, ed esclusivamente questa, all’improvviso aveva iniziato ad “apprezzare il sapore” dei coralli Pocillopora e Seriatopora. Anche qui, i danni erano tali che la coppia doveva essere trasferita in un altro acquario mantenimento. La cosa interessante, in questo esempio, è quanto possa essere ampia la diversità intraspecifica, riguardo al procacciamento del cibo, e di conseguenza anche la minaccia per gli invertebrati. Mentre il maschio, perlomeno nel periodo nel quale era stato tenuto nell’acquario citato, non si interessava affatto ai coralli duri, la femmina aveva imparato a stimarli come fonte nutrizionale.
Come catturare i pesci nell’acquario
A questo punto ci si chiede come sia possibile rimuovere dei pesci da un acquario completamente allestito, con il minor impegno possibile, vale a dire senza lo svuotamento della vasca, ed ovviamente senza arrecare danno agli animali. La cattura con un retino in un acquario di barriera è illusoria; si romperebbe rapidamente, danneggerebbe i coralli e i pesci scomparirebbero tra la decorazione. Il modo migliore consiste pertanto nell’uso di una trappola per pesci con la quale, servendosi di una certa pazienza, si potrà rimuovere dall’acquario praticamente ogni pesce. Una trappola per pesci consiste sostanzialmente in un tubo di materiale acrilico trasparente più o meno lungo. La grandezza giusta è decisiva. Se è troppo piccolo molti pesci non vi entreranno mai. I pesci, infatti, hanno meno timore delle trappole più grandi. Una delle parti finali della trappola è chiusa da una lastra di plexiglas, l’altra è provvista di una chiusura a caduta. Nella parte chiusa del tubo è presente un piccolo foro in alto. Questo foro permette una più semplice manipolazione della trappola nell’acquario; l’aria, infatti, durante l’ingresso dell’acqua può in questo modo fuoriuscire, e anche durante la rimozione con il pesce catturato, l’acqua in eccesso riesce a drenare. È importante che per mezzo della chiusura a caduta si possano ottenere diverse estensioni di apertura. In questa maniera è possibile attuare una preselezione su quale pesce, piccolo o grande, si desidera togliere dall’acquario. A parte poche eccezioni, i pesci hanno bisogno di ore o giorni per abituarsi alla trappola. Fanno parte di queste eccezioni molti labridi curiosi. La maggioranza degli altri pesci, comunque, osserverà la trappola inizialmente con cautela e da una certa distanza. L’introduzione di cibo nella trappola (in particolare Mysis e del Krill fine) può contribuire a mitigare il timore. Inizialmente cauti ma poi sempre con maggiore interesse, attratti dal cibo, i pesci cercano di arrivare all’esca, fino a quando nuotano attraverso l’apertura. Una volta entrati divorano nervosamente qualche boccone ed escono subito dalla trappola. Per l’acquariofilo ci sono ora due possibilità: – Prima possibilità: si cerca di catturare il pesce desiderato appena entra per la prima volta nella trappola. Questa non appare però la possibilità migliore, perché in questa fase la maggior parte dei pesci sono ancora piuttosto cauti e nervosi; se non riuscite a catturalo al primo tentativo, avrete bisogno di molto tempo prima che provi a rientrarvi. – Seconda possibilità: lasciate in acquario la trappola per due o tre giorni, senza tentativi di cattura, somministrando il mangime esclusivamente al suo interno. Con questo procedimento il rischio di rendere inutile la trappola a causa di un errato utilizzo è sensibilmente minore. Ancora un consiglio: il mangime dovrebbe essere posto nella parte finale posteriore della trappola. Il cibo che si trova vicino alla porta a caduta, a causa dei movimenti nervosi dei pesci, fuoriesce con facilità dalla trappola finendo nell’acquario. Dato che i pesci si ciberanno dapprima di questo mangime, il tempo necessario per la cattura aumenterà cospicuamente. Di regola la fame e la bramosia di cibo sono così grandi che i pesci prima o dopo perderanno il loro timore per la trappola. In alcuni casi problematici, però, all’inizio è necessario utilizzare dei trucchi per avere successo. Un esempio in tal senso può essere la femmina dei pesci angelo pigmei già citata. Non voleva assolutamente entrare nella trappola, nessuno dei mangimi solitamente utilizzati riusciva ad attirarla all’interno. C’erano però anche i polipi del corallo duro Pocillopora che apprezzava tanto. Fu necessari spezzare pertanto un grande ramo da una Pocillopora e porlo nell’angolo più lontano della trappola. Ai polipi che ora si potevano aprire indisturbati, mentre i coralli nell’acquario erano costantemente chiusi per via del continuo disturbo, la femmina non è riuscita a resistere a lungo. Nel caso di alcuni pesci l’acquariofilo dovrà armarsi di molta pazienza per catturarli. In tal senso possiamo citare il caso di un maschio di un branco di Chromis viridis, che aveva scelto come luogo di riproduzione una grande colonia di Pocillopora damicornis. A tale scopo aveva accuratamente pulito dei rami rimovendo il tessuto corallino e liberandoli dai polipi. Non era però questo il problema, perché la distruzione della colonia era localmente limitata ad alcuni rami. Molto più grave era il comportamento del maschio quando poco dopo iniziò a mordicchiare il mantello di una Tridacna che di conseguenza rimaneva sempre più chiusa. Per salvare la conchiglia fu indispensabile rimuovere il pesce dall’acquario. Più facile a dirsi che a farsi, perché invece di entrare nella trappola, attendeva pazientemente davanti all’ingresso fino a quando un altro pesce ne usciva con un boccone di cibo per poi rubarglielo. Solo diversi giorni dopo questo pesce entrò nella trappola.

