Nella chimica sono conosciuti innumerevoli diversi composti dei fosfati, ma per l’acquariologia marina solo il PO4, o espresso più correttamente PO43-, riveste in verità un certo significato. Talvolta questi fosfati vengono in acquariologia definiti come “sostanze dannose”, ma non è corretto, perché i fosfati sono di importanza vitale per animali e piante. L’organismo animale ne ha bisogno, ad esempio, per l’adenosintrifosfato (ATP), un accumulatore biochimico di energia che è importante per l’attività muscolare. Per le piante i fosfati sono indispensabili, perché sono un elemento fondamentale di innumerevoli composti chimici o processi metabolici. In ogni caso, nell’acqua che forma l’ambiente vitale degli animali dei reef corallini, i fosfati sono una merce assolutamente rara: si misurano infatti valori di 0,015 mg/l. A tali valori di concentrazione di fosfati si sono adattati anche animali e piante, ovvero alghe marine, che manteniamo in acquario. Da noi vivono con concentrazioni di fosfati tra 0,05 e 0,1 mg/l o talvolta molto superiori. A tale riguardo alcuni invertebrati come i coralli duri reagiscono molto sensibilmente, con disturbi nella formazione del calcio. Le alghe invece sfruttano questa concentrazione per una crescita innaturale e intensa. I fosfati, infatti, costituiscono per loro una importante sostanza nutritiva e sono contenuti per questo anche nei fertilizzanti per piante. Certo nell’acqua marina naturale in molti luoghi sono presenti anche concentrazioni di 0,06 mg/l, ma si tratta di zone molto distanti dai reef corallini. Nel reef invece l’acqua è estremamente povera di sostanze nutrienti, e queste sono presenti soprattutto sotto forma organica legata, come componente degli esseri viventi che formano la comunità della scogliera corallina, dal plancton fino ai pesci. Affinché la sintesi del calcio nei coralli duri possa svilupparsi correttamente e anche la crescita delle alghe rimanga sotto controllo, dobbiamo misurare il contenuto di fosfati dell’acqua e di regola limitarlo, spesso persino ridurlo.

Una elevata concentrazione di fosfati porta facilmente ad una incontrollabile piaga di alghe come questa vera e propria invasione di Derbesia.
La misurazione dei fosfati
Per la misurazione in commercio sono disponibili dei test che misurano la concentrazione dei fosfati con l’aiuto della cosiddetta reazione del blu di molibdeno. In tal senso, l’intensità della colorazione blu serve come misura per la concentrazione. L’impiego è semplice e avviene attraverso il dosaggio a gocce di una soluzione di misurazione in una provetta d’acqua. In questo modo nell’acqua si produce il cosiddetto complesso di fosfomolibdato di antimonio, la cui quantità dipende dalla concentrazione dei fosfati. Questo complesso è incolore ma, attraverso l’aggiunta di un mezzo di riduzione (ad esempio l’acido ascorbico, ovvero la vitamina C) sviluppa una decisa colorazione blu. L’intensità di questa colorazione fornisce successivamente una indicazione circa la quantità di fosfati presente e può essere letta, nelle singole grandezze di concentrazione, attraverso una scala cromatica. L’indicazione ha luogo in milligrammi per litro (mg/l), ad esempio: 0,024 fino a 0,046 (Eccellente) 0,092 fino a 0,14 (Utilizzabile) 0,18 fino a 0,25 (Critico) 0,34 fino a 0,43 (Problematico) Certo l’attribuzione di un determinato colore non è sempre semplice, ma anche quando non si riesce a decidere tra due colori comparativi si ha lo stesso un notevole orientamento sulla concentrazione approssimativa. Prestate però attenzione affinché il risultato misurato non venga falsato da impurità (sciacquare accuratamente la provetta e il tappo prima del test e non chiuderla con il pollice per agitarla, perché il sudore presente sulle mani contiene fosfati).
La riduzione del contenuto di fosfati

Attenzione alle impurità del tappo di chiusura, che possono falsare le misurazioni!
Per ridurre la concentrazione dei fosfati in commercio sono disponibili nel frattempo eccezionali adsorbitori, che agiscono secondo due distinte modalità: l’ossido di ferro e l’ossido di alluminio. Entrambi presentano vantaggi e svantaggi, e la maniera di impiego ideale di ambedue le sostanze presenta delle differenze. Per questa ragione, nell’ambito della rubrica, ve le descriveremo. In verità si tratta addirittura di tre diverse sostanze, perché negli ultimi anni nell’acquariologia marina ha avuto successo anche la soluzione fornita dal cloruro di lantanio. In ogni caso il suo utilizzo non è semplice come quello degli adsorbitori solidi; essa trova impiego soprattutto negli acquari di barriera molto grandi, e pertanto non viene consigliata al principiante. Le due sostanze impiegate sono invece entrambe prive di problematiche nell’utilizzo se si considerano alcuni consigli basilari; ambedue assolvono il loro compito, cioè ridurre la concentrazione dei fosfati nell’acqua dell’acquario oppure evitarne l’aumento fin dal principio. L’ultima condizione è ovviamente preferibile: infatti è altamente consigliabile tenere sotto controllo il contenuto dei fosfati nell’acqua attraverso regolari misurazioni già in un acquario di barriera appena allestito, e impiegare degli adsorbitori qualora necessario.
