Non sempre i ricci di mare sono innocui possono, infatti, essere la causa di dolorose ferite nonché provocare avvelenamenti. Queste problematiche possono manifestarsi con due modalità: gli aguzzi aculei possono penetrare la pelle, ferirla meccanicamente e in alcuni casi deporvi una sostanza dall’effetto tossico oppure rilasciare dei pedicellari simili a pinze, che al contatto si chiudono perforando la cute e che sono ugualmente provvisti di ghiandole in grado di produrre una sostanza nociva, iniettata in caso di contatto. Mentre il primo caso si verifica guadando le basse acque costiere, l’ultimo accade durante la manipolazione di questi animali, in mare oppure in acquario. I ricci dei mari europei sono relativamente innocui, ad esempio il riccio pietra (Paracentrotus lividus), quello nero (Arbacia pustulata), quello violetto (Sphaerechinus granulatus) oppure il riccio Diadema (Centrostephanus longispinus) del Mediterraneo, che possiede lunghi aculei il cui effetto non è paragonabile a quello dei ricci Diadema dei mari tropicali (Diadema spp.). Certo i suoi aculei causano ferite di tipo meccanico, ad esempio se li si calpesta, ma non si verifica un apprezzabile effetto tossico e i suoi pedicellari non sono in grado di penetrare la pelle umana.

I ricci rosa

I pedicellari di alcuni ricci sono provvisti di pinze velenifere. La famiglia Toxopneustidae comprende generi con tali armi, ad esempio Tripneustes gratilla. Sensibilmente più tossici sono i ricci rosa (Toxopneustes roseus) e i molto simili Toxopneustes pileolus e T. maculatus, perché questi possono costituire un pericolo anche per l’uomo e sono considerati i ricci di mare più velenosi. Se i loro pedicellari entrano in contatto con la pelle dell’uomo si serrano, iniettando il loro veleno che viene pressato nella ferita. I pedicellari di queste specie, al contrario di quelli di molti altri ricci, sono in grado di perforare la pelle umana, e mentre in molte altre specie sono molto più corti degli aculei secondari, nel caso di alcuni rappresentanti della famiglia Toxopneustidae sono chiaramente più lunghi, cosicché risulta facile entrarvi in contatto.

toxopneustes

Toxopneustes roseus

Il veleno di questi ricci di mare è una albumina che è già stata analizzata. Non è però ancora stato chiarito il suo esatto modo di agire. Dopo una puntura si produce un intenso e irradiante dolore, che si riduce dopo circa 15 minuti, scomparendo quasi completamente dopo circa un’ora. Contemporaneamente però possono verificarsi sintomi di paralisi della muscolatura facciale, della lingua (disturbi della parola) e delle estremità, che durano per diverse ore. I pescatori di perle giapponesi, durante le loro immersioni, temono questi ricci. Una subacquea dopo essere stata punta pare aver perso i sensi, annegando. Tutti i sintomi di intossicazione sopra citati sono riconducibili a ferite dovute agli aculei o ai pedicellari dei ricci. Si hanno però notizie anche di avvelenamenti causati dall’aver mangiato questi echinodermi. Il consumo delle gonadi dei ricci di mare è in alcuni paesi molto apprezzato. In particolare durante il periodo della riproduzione pare siano stati provocati in questa maniera, da alcune specie di ricci, sintomi quali nausea, vomito, diarrea e forti mal di testa.

Tripneustes gratilla

Tripneustes gratilla

I ricci di cuoio

I ricci di cuoio del genere Asthenosoma, Areosoma e Phormosoma dell’Indopacifico, nei loro aculei secondari, sono provvisti di un apparato velenifero sferiforme simile ad una bolla. Questa bolla costituisce un sacco velenifero circondato da muscoli e tessuto connettivo. Il tessuto che forma il sacco contiene delle cellule ghiandolari che producono veleno. Se in caso di contatto la punta estremamente sottile dell’aculeo penetra la pelle, viene contemporaneamente iniettato il veleno. La natura di questa sostanza è ancora del tutto sconosciuta, perché fino ad ora non si è riusciti ad isolarla. Pare essere estremamente instabile, sottraendosi pertanto ad una analisi. La puntura di un riccio cuoio produce ferite minime quasi invisibili, ma riserva in cambio un fortissimo dolore. Ad ogni modo, questi dolori lancinanti permangono solo per 20 – 30 minuti. La sintomatologia generale come nausea, debolezza circolatoria o stati psichici particolari, che si possono sviluppare dopo una puntura, non sono probabilmente riconducibili direttamente all’effetto di una tossina, ma alla reazione simile ad un estremo stimolo doloroso.

Il riccio Diadema

Diadema setosum

Diadema setosum

Nel caso di alcuni ricci tropicali le cose sono sensibilmente diverse. Le specie Diadema dei reef tropicali possiedono lunghi aculei internamente cavi, che si inseriscono con facilità nella pelle per poi spezzarsi rapidamente. La loro superficie è talmente squamata da creare un effetto uncinato, rendendo così impossibile estrarre dalla pelle questi aculei. Se si tenta di farlo, spesso questi si rompono. All’interno gli aculei contengono un liquido azzurrognolo che si inserisce nella ferita, colorando il tessuto di un colore blu nero. Esistono solo pochi studi riguardanti il veleno dei ricci Diadema. In alcuni casi viene perfino messa in dubbio la stessa esistenza, seppure il dolore dopo una puntura né faccia supporre la presenza, dato che va ben oltre le conseguenze presumibili da una ferita meccanica. Nel caso di esperimenti con animali, l’acquoso contenuto degli aculei ha causato un aumento della pressione sanguigna. Nell’uomo dopo una puntura si sviluppa un gonfiore con arrossamento. La regione cutanea coinvolta trasmette forti dolori, diventando talvolta insensibile, ma questi sintomi regrediscono quasi sempre nell’arco di alcune ore. L’aculeo si rompe con facilità e i frammenti calcarei vengono incapsulati, generando dei granulomi che provocano dolore se compressi. La sostanza colorante blu nera, penetrata durante la puntura, colora la pelle restando visibile anche a distanza di settimane.

Misure precauzionali

In mare, nelle acque poco profonde, non bisognerebbe mai camminare scalzi, soprattutto nelle vicinanze di accumuli rocciosi, che possono costituire un riparo per i ricci. Le scarpe da ginnastica o le calzature da subacqueo (“Booties”) forniscono una certa protezione, ma spesso gli aculei delle specie Diadema le perforano entrambe con facilità e sono addirittura in grado di passare attraverso la rigida struttura di alcune pinne. Pertanto è richiesta cautela anche con queste protezioni. Durante le immersioni non bisognerebbe mai toccare i ricci di mare tropicali, neppure se provvisti di guanti, dato che gli aculei di molti di loro sono capaci di perforarli. In questo caso la cautela è ancora più importante, dato che i dolorosi incidenti possono causare reazioni di panico, che talvolta terminano in maniera catastrofica. In acquariologia è importante conoscere gli effetti delle specie di ricci di mare tossici e comportarsi di conseguenza. Le specie come i rappresentanti della famiglia Toxopneustidae non dovrebbero sostanzialmente trovare posto in un acquario e lo stesso si può dire a riguardo dei ricci di cuoio dell’ordine Echinothriida. Si tratta di una misura importante in particolare per gli acquari di barriera, nei quali gli interventi manuali sono molto più frequenti rispetto a quanto accade in una vasca di soli pesci. Anche nel caso di alcune altre specie di ricci di mare oltre a quelle sopra citate, si deve considerare dopo un incidente un effetto doloroso che si spinge ben oltre le conseguenze della ferita causata dalla puntura. Qualcosa del genere è stato riferito ad esempio per Astropyga radiata (Pfleiderer). L’effetto tossico dei ricci di mare è ancora poco studiato, per cui è consigliata sempre una straordinaria attenzione durante le manutenzioni in acquari dove sono presenti dei ricci.

In caso di puntura degli aculei dei ricci

Gli aculei oppure i pedicellari strappati e ancorati nella pelle devono essere rimossi solo con grande cautela, possibilmente per mezzo di una pinzetta. Deve essere prestata attenzione affinché l’aculeo non si rompa e soprattutto che non penetri più in profondità nel tessuto. Per questa ragione non si deve cercare di estrarre i frammenti di aculeo dal tessuto attraverso la pressione. In particolare per gli aculei delle specie Diadema questo tentativo, a causa della spiccata resistenza opposta dall’effetto uncino della superficie, è privo di senso. Anche per i frammenti di aculeo penetrati in profondità non si dovrebbe in nessun caso cercare di estrarli attraverso delle incisioni. L’effetto tossico, che probabilmente possono aver provocato, viene già espletato durante la penetrazione nella pelle; con la rimozione degli aculei la dolorosa sintomatica non può quindi essere evitata. In alcuni casi, i piccoli frammenti di aculeo vengono incapsulati. Talvolta vengono anche allontanati dal corpo attraverso una suppurazione. Se un aculeo si trova nell’area delle articolazioni richiederà un intervento chirurgico, perché altrimenti potrebbe incombere un irrigidimento delle giunzioni. In questo caso, anche nella più isolata delle isole, non si deve mai cercare senza un aiuto medico di rimuovere l’aculeo, perché ogni intervento chirurgico in prossimità delle articolazioni richiede una estrema misura di sterilità, e una infezione secondaria avrebbe conseguenze ben più pesanti rispetto ad un aculeo rimasto nel tessuto.

Maggiori informazioni sull’argomento nel numero 29 di CORALLI