Un acquariofilo che si occupa intensamente della struttura interna e della fisiologia delle spugne, rimarrà presumibilmente sorpreso. Con una relativa e grande probabilità, infatti, scoprirà che le spugne vive, nella loro funzionalità, possiedono una sorprendente similitudine con quelle apparecchiature che durante gli ultimi anni sono state sviluppate in acquariologia per il trattamento di pulizia dell’acqua. In effetti, una spugna vivente può essere definita come un aggregato filtrante biologico, perfettamente formato. In questa sede voglio fornire delle informazioni riguardanti quanto ho elaborato dal 1997, quando mi posi l’interrogativo dell’effettivo e mirato impiego di tali ”aggregati filtranti viventi” in un acquario di barriera, come metodo naturale di filtraggio supplementare, o al posto dell’impianto di filtrazione e dello schiumatoio. Negli USA i metodi di filtraggio naturali sono, durante questi ultimi anni, diventati molto popolari. Questo si dimostra con molteplici metodologie di filtraggio, inerenti l’acquariologia di barriera come il Metodo Jaubert, il Sistema Adey con il filtro ad alghe, il mini reef olandese ed anche quello che qui negli USA è diventato noto come “Sistema Berlinese”. Tutti questi sistemi si basano sull’impiego delle rocce vive quali componenti biologici nel trattamento dell’acqua. Dagli inizi fin verso la metà degli anni ’90, ho allestito alcune vasche di barriera in base al principio che in quel periodo era in Europa molto popolare: il “Sistema Berlinese”. Il metodo combina grandi quantità di rocce vive con uno schiumatoio, e gli acquari che ho allestito in questa maniera, si sono sviluppati con notevole successo. Le fotografie di queste vasche comparvero ben presto nei più diversi libri di acquariologia, e svariati acquariofili ebbero in poco tempo l’impressione che tale metodo fosse “a prova di bomba” e il percorso migliore che si potesse percorrere. A partire dal 1996 però, gli acquariofili di barriera negli USA dovettero sopportare un contraccolpo: l’”RTN” (rapid tissue necrosis) cioè l’improvvisa degenerazione dei tessuti. La maggioranza di noi supponeva che la causa di tale catastrofe fosse da ricercare in una qualche importazione di batteri patogeni con i coralli, da una determinata area di esportazione nel Pacifico, che alla fine erano arrivati nei nostri acquari. Ben presto fu scovato anche un possibile colpevole: una specie Vibrio particolarmente virulenta, diffusasi da un particolare luogo di esportazione. Per tutto il paese gli acquariofili che avevano vasche con coralli duri dovettero confrontarsi con la massiccia propagazione di questo problema, perdendo una gran quantità di coralli. In questo articolo non voglio discutere in dettaglio il problema dell’RTN, ma ricordare che si è protratto fin quasi alla fine del 1997. L’esperienza con questa malattia di importazione mi ha però indotto allora a riflettere intensivamente sul sistema dell’acquario, che tutti noi utilizzavamo in quel periodo. Avevo l’impressione che anche uno schiumatoio avesse i suoi limiti funzionali. Non è in grado ad esempio, di mantenere sotto controllo la densità popolativa dei batteri pelagici (che nuotano liberi). Riesce al massimo ad influenzarla indirettamente, rimuovendo in parte dall’acqua delle sostanze organiche particolari (solide, non disciolte), sottraendo a taluni batteri le basi nutrizionali. Tra il 1995 ed il 1996, in alcuni punti del mio acquario, costatai per la prima volta una fenomenale crescita di spugne. In una vasca filtrante non illuminata e ricolma di rocce vive ad esempio, si erano sviluppate delle grandi spugne accresciutesi dal materiale roccioso. Delle spugne esotiche si svilupparono anche nell’acquario, ad esempio nelle zone oscurate sotto una grande sporgenza. Dato che negli anni tra il 1997 ed il 1999 molti acquariofili stavano ancora superando le perdite finanziarie provocate dall’RTN, il mio metodo semplice ed economico destò allora molto interesse. Pertanto, anche per via dell’aspetto monetario, cercai di portare avanti questo aspetto. Ma pressato dalla diffusione dell’RTN, mi sforzai anche di trovare una via conveniente per il controllo della densità popolativa dei batteri pelagici. In questo senso risultavano efficaci gli apparecchi di sterilizzazione ad UV, gli ozonizzatori, i filtri a carbone attivo e una forte schiumazione, ma il loro acquisto e utilizzazione, richiedeva un notevole esborso. Più mi cimentavo nella lettura della letteratura scientifica sulle spugne, più forte diventava in me la convinzione che questi organismi costituivano la soluzione migliore per il mio sistema.
La capacità filtrante delle spugne vive

Uno sguardo nella zona criptica di un acquario di barriera trizonale di Steve Tyree. Questo sistema ha sostituito la schiumazione con le spugne viventi. Le spugne crescono vigorosamente ed inoltre in questa zona si trovano anche ascidie di mare e conchiglie filtranti.
La scienza ha studiato le spugne viventi, scoprendo molto sulla struttura e sulla fisiologia di questi esseri viventi, sulla loro capacità filtrante e la loro necessità nutrizionale. Le spugne sono in grado di far circolare l’acqua attraverso le loro aperture corporee esterne (osti), verso l’interno. Si stima che una spugna con un volume corporeo di un litro, sia in grado di filtrare, secondo la specie, fino a 570 litri l’ora. I canali di ingresso si insinuano verso l’interno della spugna e diventano più stretti, e alla fine l’acqua arriva alla camera dei coanociti. Qui si trovano i piccoli meccanismi di movimentazione che mettono in circolazione l’acqua, non solo verso l’interno della spugna ma attraverso di essa. In queste camere vengono trattenuti i batteri di grandezza microscopica e le sostanze organiche disciolte. Ogni cellula conanocita è provvista di un flagello che viene scosso mettendo in movimento l’acqua, forzandola fuori dalla camera. Da queste camere l’acqua fluisce verso i canali di efflusso che si raccolgono nell’apertura di uscita (Tyre, 1998). Si sa, che le spugne filtrano dall’acqua i batteri pelagici in maniera molto efficace. Una analisi di una spugna tropicale Demospongiae ha evidenziato che il 96,1% dei batteri che giungono all’interno della spugna con l’acqua, vengono estratti per filtrazione e trattenuti nelle microscopiche cellule coanociti. Anche il fitoplancton viene filtrato dalle spugne molto efficacemente. In esemplari presso la Discovery Bay in Giamaica, si è potuto costatare che il rateo di trattenimento del fitoplancton era del 86,5%. Nel caso dei dinoflagellati, delle diatomee e delle spore funginee, questo rateo si attestava dopo tutto sempre intorno al 48,7%. Perfino il detrito di grandezza microscopica, che si trovava nell’acqua, veniva trattenuto nell’ordine del 41,9%. Le sostanze organiche disciolte contengono, nella colonna d’acqua delle aree di barriera tropicali, l’86-88% del carbonio organico totale che vi si trova. Nel caso di tre Demospongiae tropicali per quanto concerne le sostanze organiche, si è potuto stabilire un rateo di trattenimento del 35,1% (Reiswig, 1971). Le spugne tropicali quindi, combinano una robusta resa di pompaggio alla capacità di trattenere le particelle di grandezza microscopica. Tra tutti gli esseri viventi marini possiedono le più efficienti strutture per la filtrazione dei batteri microscopici e delle sostanze organiche disciolte. In tale maniera sono diventate, in questo ambiente vitale, il gruppo filtrante dominante per particelle di tale grandezza. La maggioranza degli altri filtratori nel reef, che non fanno parte delle spugne, si sono specializzati in una grandezza delle particelle superiori a 50 µm, e quelli che comunque catturano particelle più piccole, lo fanno con tecniche diverse dalle spugne, ad esempio per mezzo di reti vischiose o altri metodi passivi, che però dipendono dalla presenza di correnti d’acqua (Reiswig, 1971, 1975). Le spugne possiedono cioè la capacità di assumere ed utilizzare sostanze organiche disciolte dall’acqua dei reef. Questa capacità rende in acquario le spugne una sorta di sostituto naturale dello schiumatoio. Offrono anche all’acquariofilo la possibilità di controllare in un modo naturale la popolazione dei batteri pelagici. I miei esami di campioni di acqua di moltissimi acquari di barriera, hanno dimostrato che le vasche con una elevata concentrazione di composti organici tendevano anche ad una maggiore popolazione di tali batteri (Tyree, 2000). Tutti i metodi per l’acquariologia di barriera oggi diffusi, impiegano le rocce vive della barriera corallina. Queste rocce vengono normalmente trasportate verso il paese di arrivo a secco, cosicché tale materiale dopo il trasporto deve essere “curato” prima di poter essere introdotto in un acquario di barriera. In pratica, questo significa che le si mantiene in acqua marina per consentire la decomposizione degli organismi morti, scomparendo dalla roccia. Chi ha una certa esperienza con la “cura” delle rocce vive fresche di trasporto, sa che moltissimi di questi organismi sono spugne. Queste spugne costituiscono una parte integrante delle rocce vive, e pertanto la maggior parte degli acquari di barriera vengono allestiti con una popolazione innaturalmente ridotta.
